Quando chi sa poco crede di sapere tutto: come riconoscere e superare l’effetto Dunning-Kruger in azienda
- Daniele Casti

- 27 ott
- Tempo di lettura: 4 min
In ogni azienda, grande o piccola, capita di incontrare due tipi di persone: quelle che parlano con assoluta sicurezza anche quando non conoscono a fondo l’argomento, e quelle che, pur avendo esperienza e competenza, mettono costantemente in dubbio se stesse.
È una dinamica tanto comune quanto pericolosa, perché influenza decisioni, relazioni e risultati. Si chiama Effetto Dunning-Kruger, e descrive un paradosso sorprendente: più una persona è incompetente, più tende a sopravvalutarsi; più è competente, più tende a dubitare di sé.
Capirlo — e imparare a gestirlo — non è solo una questione psicologica. È una chiave di crescita organizzativa, perché un team che sa riconoscere i propri limiti e valorizzare le competenze reali lavora meglio, comunica di più e sbaglia di meno.
Cos’è l’effetto Dunning-Kruger

Il termine nasce da uno studio dei ricercatori americani David Dunning e Justin Kruger (1999). Analizzando centinaia di casi, scoprirono che le persone con minori competenze in un determinato ambito tendono a sopravvalutare le proprie capacità, mentre quelle realmente esperte tendono a sottovalutarsi.
In sintesi
Chi sa poco non sa di sapere poco, quindi crede di essere molto bravo.
Chi sa molto sa di non sapere tutto, quindi tende a essere più prudente.
Il risultato è una curva che parte con un picco iniziale di sicurezza (“so tutto io”), precipita nella cosiddetta “valle dell’umiltà” (“forse non è così semplice”) e poi risale gradualmente fino a un livello di competenza matura e consapevole.
Come si manifesta in azienda
L’effetto Dunning-Kruger si riconosce facilmente nella quotidianità professionale. Ecco alcuni esempi concreti.
Un professionista che propone soluzioni semplicistiche a problemi complessi, ignorando le variabili reali.
Un collaboratore che rifiuta la formazione continua perché “non ne ha bisogno”.
Un responsabile che sottovaluta l’importanza della comunicazione interna, convinto che “basti il buon senso”.
O, al contrario, una persona davvero competente che evita di esporsi o di far valere le proprie idee per timore di sbagliare.
Nel lungo periodo, questo crea squilibri di leadership, scelte inefficaci e una cultura aziendale poco meritocratica, in cui viene premiata la sicurezza apparente più che la competenza reale.
Le conseguenze
Le aziende dove l’effetto Dunning-Kruger passa inosservato finiscono per avere i seguenti "effetti collaterali".
Perdere talenti: i più competenti si stancano di non essere ascoltati.
Bloccare l’innovazione: le idee migliori non emergono, perché prevale chi “parla di più”.
Rallentare la crescita: le decisioni vengono prese da chi ha troppa fiducia e poca conoscenza.
In altre parole, la sicurezza immotivata frena l’apprendimento e disincentiva il miglioramento continuo — due ingredienti fondamentali per ogni impresa sana.
Come superarlo
La buona notizia è che l’effetto Dunning-Kruger si può curare. Non con corsi motivazionali, ma con una cultura aziendale che incoraggi autoconsapevolezza, confronto e crescita.
Ecco tre strategie efficaci.
Promuovere la cultura del feedback. Il feedback non è una critica: è un modo per allineare percezione e realtà. Farlo bene aiuta tutti — anche i leader — a vedere dove migliorare.
Valorizzare la formazione continua. La conoscenza è il miglior antidoto all’arroganza. Le persone curiose e aggiornate si espongono meno a questo effetto.
Premiare la competenza, non la sicurezza. Nelle riunioni e nei processi decisionali, crea spazi dove contano i risultati e i dati, non solo la voce più forte.
Riconoscere l’effetto Dunning-Kruger è un atto di maturità, personale e organizzativa. Significa accettare che non sapere tutto non è un limite, ma il primo passo per imparare davvero.
Le aziende che crescono non sono quelle dove tutti vogliono avere ragione, ma quelle dove si può sbagliare, confrontarsi e migliorare insieme. Perché la vera competenza non urla: lavora in silenzio, ascolta e costruisce valore giorno dopo giorno.
Un’ultima riflessione
Esistono molte interpretazioni e “letture” diverse di questo grafico e di questa teoria. Che quella rappresentata qui sia la più corretta o la più fedele all’originale, non lo sappiamo con certezza. Ma una cosa, dopo anni di lavoro e di esperienza, possiamo dirla con sicurezza: questa dinamica è reale.
La vediamo ogni giorno — nei team, nei clienti, nei progetti — e riconoscerla fa davvero la differenza. Perché solo chi resta curioso e consapevole dei propri limiti continua a crescere.
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